A fronte di una popolazione sempre più anziana con esigenze inevitabilmente crescenti di cura, il nostro Paese spende poco per la tutela della salute, nonostante la sanità rimanga un elemento centrale nella competizione per il consenso e nelle preoccupazioni della collettività.
I tagli che ormai da più di un decennio investono il settore della sanità hanno determinato una progressiva contrazione della spesa pubblica sanitaria che l’ultimo Documento di Economia e Finanza stima al 6,3% del PIL nel 2024 e al 6,0% nel 2025; dati che inducono un certo pessimismo se confrontati con la media dell’8,8% dei 37 Paesi Ocse, tra cui Francia e Germania che impiegheranno in sanità circa il 10% del loro Prodotto Interno Lordo.
Da più parti si stima che il sistema sanitario nazionale, oltre il rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale e oltre le risorse del PNRR, avrebbe bisogno di un investimento tra i 18 e i 25 miliardi di euro, circa 1-1,5 punti di PIL, per rispondere già oggi alle esigenze dei cittadini. Lo stesso management della sanità di fronte a questo deficit vede ridotti gli spazi per l’esercizio di una razionalità gestionale, dovendosi esclusivamente occupare delle emergenze.
Ma non solo; in assenza di queste risorse, il sistema è di fatto costretto a praticare un razionamento implicito che porta con sé un tasso di iniquità (nella competizione per l’accesso ai servizi gli individui con maggiori risorse vincono) spesso superiore a quello prodotto dai meccanismi di mercato.
D’altronde, dove non arriva il pubblico o arriva la spesa del singolo cittadino, con i rischi di iniquità di cui sopra, oppure, ancora peggio, si assiste a fenomeni di rinuncia alla prevenzione o alle cure che aggravano ulteriormente i costi del sistema, oltre a peggiorare il tessuto sociale del Paese.
Mentre la spesa sanitaria pubblica si ritirava, la spesa sanitaria diretta delle famiglie, la cosiddetta spesa “out of pocket”, cresceva fino a toccare nel 2021, secondo l’ISTAT, la cifra record di 41 miliardi di euro spesi sia per l’acquisto di farmaci e attrezzature terapeutiche e medicali, sia per ricoveri ospedalieri sia, infine, per visite specialistiche, servizi odontoiatrici, servizi di diagnostica e servizi paramedici.
È del tutto evidente che il problema del sistema sanitario del nostro Paese sia estremamente complesso e che necessiti di una profonda riflessione che coinvolga tutti gli attori con un approccio che nel trovare soluzioni relativamente rapide alle incombenze più urgenti (liste d’attesa, pronto soccorso e medicina del territorio, personale medico e specialistico, …) affronti temi di più largo respiro come, ad esempio, l’annosa questione del rapporto tra sanità pubblica e sanità privata.
In questo quadro, un importante contributo potrebbe venire dal secondo pilastro, mutue e fondi di assistenza integrativa di natura contrattualistica.
Benché a partire dal 2018 i decreti Turco prima e Sacconi poi abbiano dato una decisa spinta al welfare integrativo, ancora oggi la spesa intermediata dai fondi è estremamente bassa in confronto a quanto succede nel resto d’Europa. L’ultimo rapporto Cergas Bocconi indica che nel 2020 la spesa privata intermediata in Italia valeva circa il 3% della spesa sanitaria totale, meno della metà di quanto succede in Francia e Austria e decisamente meno delle analoghe quote registrate in Belgio, Finlandia e Grecia stimate stabilmente oltre il 4,5%.
Eppure, l’approccio mutualistico dei Fondi di assistenza sanitaria integrativa di natura contrattuale rappresenta già oggi, per quanto modesto rispetto alla totalità del fenomeno, un piccolo meccanismo di equilibrio del sistema sanitario, data la loro natura no profit, l’assenza di selezione del rischio all’entrata e la possibilità di continuare a godere dell’assistenza anche oltre l’età lavorativa attraverso la contribuzione volontaria.
Il sistema pubblico non può rinunciare al suo ruolo, ma la sanità integrativa contrasta il fenomeno della rinuncia alle cure favorendone l’accessibilità e riducendo il divario tra quanti possono spendere per fruire di prestazioni private e chi non ne ha la possibilità.